Cosa sapere sull’economia circolare
Lo sviluppo dell’economia dei consumi ha portato alla nascita di una nuova emergenza tanto ambientale quanto economica e sociale: l’emergenza rifiuti.
L’emergenza rifiuti, in generale l’emergenza ambientale, è figlia di un modello errato di crescita, il cosiddetto “TAKE-MAKE-DISPOSE”. Si tratta di un modello lineare che prevede la produzione di un bene, il suo utilizzo ed alla fine l’abbandono e presuppone che le risorse siano infinite, economiche e a basso costo di smaltimento.
L’ECONOMIA CIRCOLARE introduce un nuovo approccio al business: un modello di sviluppo in cui le risorse vengano VALORIZZATE e RECUPERATE.
Il nome di “economia circolare” deriva dai meccanismi presenti in alcuni organismi viventi in cui le sostanze nutrienti sono elaborate e utilizzate, per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico. I sistemi economici secondo l’economia circolare dovrebbero imitare questo concetto di “ciclo chiuso” o “rigenerativo”.
L’Unione Europea si sta muovendo in maniera molto determinata su questo fronte. Le proposte in discussione fissano dei target impegnativi: a partire dal 2025 sarà vietato conferire in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.
Nell’ambito della strategia Europa 2020, l’UE ritiene che la transizione verso un’economia circolare sia di fondamentale importanza per il raggiungimento di una maggiore efficienza complessiva delle risorse (European Commission 2010; 2011).
Ciò rappresenta uno dei principali volani della competitività delle imprese europee, tenuto conto dell’alta incidenza che le materie prime hanno sui costi complessivi dell’industria manifatturiera; al riguardo si ritiene che, nel vecchio continente, tale incidenza si aggiri mediamente attorno al 40% e che possa raggiungere il 50% se si sommano anche i costi per l’energia e l’acqua (Europe Innova, 2012). È stato valutato, infatti, che se le industrie europee riuscissero a implementare un sistema produttivo di tipo circolare si potrebbe realizzare un risparmio complessivo di quasi 500 miliardi di euro l’anno, cui si ricollegherebbe una minore necessità di input materiali (riduzione del 17%-24% entro il 2030) e un incremento del Pil della UE prossimo al 4% (Europe Innova, 2012; Meyer et al., 2011).